martedì 7 dicembre 2010

La rana che non sapeva d'esser cotta * editoriale dicembre 2008

Olivier Clerc è uno scrittore e filosofo, autore tra l'altro del libro dal titolo “La tigre e il ragno” dove spiega due facce della violenza, quella diretta della tigre e quella subdola del ragno. Fuor di metafora, uccidere con una pistola o distruggere moralmente. Clerc ha scritto anche una formidabile storiella sempre utilizzando l'efficace metafora degli animali, che pur senza fare alcun preciso riferimento all'attuale società occidentale, o se preferite alle condizioni dell'informazione in Italia, non può che far riflettere. Ogni giorno sulle nostre tv scorrono immagini di Isole dei famosi, veline, aleternate a episodi di sangue. E ancora subrette che sembrano ministri e ministri che sembrano subrette. Con spot pubblicitari davvero magnifici, luccicanti, in questo non ci batte nessuno, tanto da far ironizzare la stampa estera che ha scritto “peccato che una così bella pubblicità sia interrotta continuamente da programmi mediocri”. Insomma, viene iniettato una sorta di anestetico mediatico a dosi giornaliere che addormenta il telespettatore o il lettore, che oramai comincia a confondere realtà e finzione. Nella metafora di Clerc questo processo lento e progressivo, o “principio della rana lessata”, si realizza come segue. Immaginate un pentolone pieno d'acqua fredda dove nuota tranquillamente una rana. Arriva qualcuno che accende un bel fuoco sotto il pentolone e l'acqua comincia a riscaldarsi piano piano. L'acqua ora è appena tiepida, tant'è che la rana continua a nuotare ignara di quello che le sta accadendo. Anzi, percepisce una piacevole sensazione di benessere. L'acqua diventa calda. Più di quanto la rana desidererebbe per nuotare a suo agio, ma l'aumento di temperatura è talmente graduale che la rana sopporta e continua a nuotare. L'acqua ora è veramente calda e la rana prova una sensazione sgradevole di forte disagio. Ma oramai è troppo tardi, perché è indebolita. E non ha più la forza di uscire, quindi rimane lì senza fare più nulla. La temperatura sale ancora. L'acqua raggiunge la temperatura di ebollizione. La rana oramai è morta e bollita. Fine della storia. Se fosse stata immersa subito nell'acqua a 50 gradi la rana avrebbe immediatamente percepito il pericolo ed avrebbe reagito schizzando via immediatamente dal pentolone con un colpo di zampa. Questa storiella insegna, dunque, che quando il cambiamento si effettua in modo sufficientemente lento, sfugge alla coscienza e non suscita per la maggior parte del tempo nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta. Come nella Fattoria degli animali di Orwell, parodia dell'ascesa al potere del comunismo, dove i maiali un po' alla volta si sostituiscono all'uomo nel dominio degli altri animali peggiorandone le condizioni di vita. «Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni - osserva allora Olivier Clerc - ci accorgiamo di essere vittime di una lenta deriva alla quale ci siamo abituati. Un sacco di cose che 20 o 30 o 40 anni fa ci avrebbero fatto orrore, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate, e ci disturbano solo leggermente. O peggio, lasciano indifferenti gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, passano inosservati i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all'integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere -  dice Clerc - e tutto questo si realizza lentamente ed inesorabilmente con l'inconsapevole complicità delle vittime, ignoranti o sprovvedute. E così, i foschi presagi annunciati per il futuro, anziché suscitare delle reazioni e delle misure preventive, non fanno che preparare psicologicamente il popolo ad accettare le condizioni di vita decadenti, perfino drammatiche. Il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere. E allora, se non siete come la rana, già mezzi cotti - conclude Clerc - date il colpo di zampa salutare, prima che sia troppo tardi»

Datemi tre reti e modificherò il vostro pensiero * editoriale febbraio 2010

“Datemi un punto d'appoggio e solleverò il mondo” diceva Archimede nel 200 avanti Cristo. Se fosse nato oggi probabilmente avrebbe aggiunto “Datemi tre reti televisive e modificherò il vostro pensiero”. Come avete già intuito, questo mese parliamo male della televisione. Canale 5 nasce negli anni '80, tv cosiddetta generalista, con palinsesti contenenti sport, quiz, intrattenimento, notiziari ecc. Dall'83 all'89 la nuova tv vive una strepitosa crescita, proponendo film americani in prima serata (Dallas, Dynasty, Uccelli di Rovo) che appassionano il pubblico e fanno raggiungere quota 15 milioni di telespettatori. Ebbene, cominciamo con la prima punzecchiatura: non avete notato nessun cambiamento in questi ultimi trent'anni nella tv italiana? La domanda, ovviamente, è retorica e rivolta per motivi puramente anagrafici agli ultracinquantenni che probabilmente ricordano la vecchia Rai lotizzata, con Rai 1 alla Dc, Rai 2 ai socialisti e Rai 3 ai comunisti. Con tutti i suoi difetti, c'erano però dei servizi speciali eccellenti, realizzati da giornalisti del calibro di Sergio Zavoli, tanto per fare un nome. In tempi più recenti è approdato alla tv dalla carta stampata il compianto Enzo Biagi, altro pezzo da 90, con Il Fatto; un giornalista sicuramente moderato, ciò nonostante epurato da Berlusconi. Qualcuno ha notato, insomma, una certa differenza tra i Tv7 di allora, Zavoli, Biagi, Montanelli e un Emilio Fede di oggi (attenzione, Fede degli anni '70 in Rai era un'altra cosa di oggi). Lo stesso discorso fatto per i giornalisti lo si può fare per i programmi. Concentrando l'attenzione sul fatto che la televisione, più ancora di stampa, radio e internet, ha il potere di riuscire a plasmare nel tempo i modi di pensare, perché si rivolge a una platea enormemente più vasta. Sono solo 5 milioni i lettori di quotidiani in Italia e probabilmente sono sempre gli stessi che si informano navigando in internet. Datemi una qualsiasi canzone, ha detto qualche tempo fa un produttore musicale che era stato qui a Belluno allo Spazio giovani, io ve la faccio passare tutti i giorni nelle principali radio e alla fine vi piacerà. Come una goccia d'acqua che col passare del tempo buca la pietra. Nessuna forzatura, intendiamoci, è un processo lento e indolore, come la caduta dei capelli. La Tv alla lunga determina dei “modi di pensare” di base, lasciando l’illusione della scelta del singolo su “cosa pensare”. Può lasciar sviluppare dei comportamenti istintivi e bloccare quelli intelligenti. Oppure far sviluppare uno schema di vita piuttosto che un altro. Qualcosa del genere, tanto per fare un altro esempio, succede anche nei gusti alimentari. Se per 20 anni ci hanno fatto mangiare pollo e patatine fritte del McDonald's, poi finisce che non ci piace più il sapore del pollo ruspante e delle patate dell'orto, perché il nostro palato non lo riconosce più. La tecnica di indurre gusti e sistemi di vita è quella di agire sempre alla base e mai nel particolare. E i risultati sono tanto più efficaci quanto più sono prolungati nel tempo. Nei notiziari, ad esempio, la quantità di informazioni, comunicati stampa e cronaca a disposizione di chi decide è talmente ampia che non occorre nemmeno manomettere la realtà. Questo vale per tutta l'informazione, anche qui, nella Pagina, ogni mese c'è ampia discrezionalità sui pezzi da pubblicare. Immaginate allora di avere una fotografia grandangolare con un paesaggio davanti a voi e di dover scegliere un particolare da proporre. Basta metterlo a fuoco, ingrandirlo tralasciando tutto il resto e presentarlo in una adeguata cornice. Questo significa selezionare ciò che la massa dovrà conoscere, decidere quanto panorama di quel paesaggio far vedere al pubblico e lasciare che poi ognuno scelga, ma solo all'interno di quel fotogramma. Il tutto confezionato con professionalità, con immagini e colori attraenti, piacevoli, desiderabili, descrivendone minuziosamente tutti i lati positivi possibili. La realtà della massa si svilupperà poi autonomamente solo fra ciò che viene presentato. I sogni, le aspettative, i desideri, i modelli da imitare e in cui identificarsi, per cui vivere e soffrire, infatti, vengono accuratamente scelti fra ciò che continuamente e senza sforzi conosciamo sempre meglio. Il resto del paesaggio, e quindi della realtà, non viene fatto vedere, oppure viene allontanato come immagine negativa, disfattista. E quindi non è costantemente nel campo di attenzione della massa, non ci sono pensieri e desideri costanti su di essa. E alla lunga smette di esistere. La tv può imporre qual è l’argomento, l’idea, il modello, lo schema più conosciuto e quale meno. Può decidere a quali questioni dare più visibilità e su quali argomenti incentrare la discussioni e quale argomento ignorare completamente. Cosi determina qual è lo stile di vita dominante e quindi quello su cui si focalizzano i desideri. Un controllo della massa senza filo spinato, dove si promuovono tutti gli aspetti positivi dell’immagine individualista e forte, furba e determinata e magari anche un po’ aggressiva, il manager rampante o un ricco playboy, tralasciando gli altri aspetti positivi o negativi della vita. Un sistematico declassamento “in seconda pagina” insomma di tutto ciò che non fa parte di un modello, di un modo di vivere del sistema. Nell’arco degli anni, la massa si sente libera di decidere e pensare, e non si accorge che tutto ciò che vede e sceglie è all’interno di quel famoso fotogramma ingrandito.  Nel “campo” dalla tv, dei palinsesti proposti, l’individuo si fa domande e prende decisioni, ma lo fa nei modi e nei tempi della dettati dalla tv stessa, su argomenti proposti dalla tv. Inizia così la lenta e dolce manipolazione. La possibilità di gestire le mode e le culture di una popolazione è alla base del moderno potere economico e politico. Una maniera molto profonda e sofisticata di controllare i consensi delle masse e di limitarne il rinnovamento è quella di farle abituare a dei comportamenti piacevoli che siano il più possibile continuati nel tempo. Si inizia sempre con abitudini leggere e attraenti fino ad arrivare a delineare degli schemi di comportamento che siano influenzabili dall’alto. Una volta che si crea una tendenza, a cui un enorme massa di persone preferisce non rinunciare, allora si è instaurata una sorta di dipendenza. Gran parte del controllo sulla popolazione nasce dalla prevedibilità di questo consenso. Non si impone l'acquisto di uno specifico prodotto, ma si agisce alla base della formazione delle scelte per anni. Fornendo a milioni di persone un modello di vita irreale. Con personaggi ricchi e famosi che stimolino le fantasie e i desideri, oppure con programmi che distribuiscono soldi a palate a uomini più o meno palestrati e donne siliconate che se guardate bene sanno fare poco o nulla. Passa così la convinzione negli spettatori che la vita, il mondo del lavoro, sia un giochetto dove tutti possono diventare ricchi e famosi senza sacrificio, senza fatica. Dopo un po' di anni di questo “trattamento televisivo” , quando un certo grado di persuasione di massa è stato raggiunto, e il modello è diventato parte del sentire comune, il gioco potrebbe irrigidirsi. I manovratori potrebbero organizzarsi politicamente in una casta che tende solo a conservare se stessa all'infinito e i propri privilegi. Vi ricordate come abbiamo votato alle due ultime elezioni politiche? Con il sistema “porcellum” dove deputati e senatori (opposizioni comprese s'intende) sono stati decisi dalle segreterie di partito e dunque da un pugno di uomini. I più giovani sono quelli che pagano il prezzo più alto di questa dolce manipolazione. Perché non hanno mai assaggiato “il pollo ruspante e le patate dell'orto” , sono cresciuti in una monocoltura televisiva fatta di prodotti preconfezionati. E allora è comprensibile che  ragazze molto giovani cadano in depressione se non possono rifarsi seno e labbra come quelle che vedono in tv. E i ragazzini s'incollino al monitor del pc alla disperata ricerca su eBay dell’ultimo modello di iPod touch. E ci accorgiamo che un pezzo consistente di gioventù vive oggi con l'unica aspirazione di entrare in tv. E per raggiungere l'obiettivo, anche di una semplice particina, è disposta a passare per i letti di chi in quel momento ha il potere di decidere. Oppure, come è emerso da varie interviste, si scopre che la massima aspirazione, in alternativa a quella di entrare genericamente nel mondo dello spettacolo sia quella di andare in Parlamento! Come se le due cose fossero uguali, sullo stesso piano. E d'altra parte, come si può condannare questo modo di pensare? Se in Parlamento oggi c'è chi fino a qualche anno fa era ritratta sui calendari appesi dai camionisti nelle cabine dei Tir.